Moda Etica - Sartoria Sociale di Palermo: l'officina tessile dove si creano nuove occasioni

Quando la moda diventa un ponte tra tessuti, macchine da cucire e lingue diverse

2 ottobre 2021

Rosalba Romano, socia fondatrice Sartoria Sociale

Un luogo che mi permette di sentirmi viva e utile agli altri, costruendo qualcosa di nuovo in questa città, dove una realtà come questa non esisteva. Penso che questo sia il vero punto di forza, per tutti coloro che sono coinvolti nel progetto. “Sartoria Sociale” vuol dire proprio questo: tessere relazioni significative tra le persone, come nella trama di un tessuto: i fili si tengono insieme l’uno con l’altro

Al contrario, alla rovescia. È questo il significato profondo che unisce uno stabile confiscato alla mafia nel quartiere Malaspina di Palermo, uomini e donne che parlano lingue e raccontano storie diverse e tessuti di recupero con altri passati da raccontare. Questo è il significato di Al Revès (in spagnolo significa proprio «dall’altra parte») la cooperativa sociale da cui si è formata la Sartoria Sociale. «Ciascuno di noi, con difficoltà, può rimettersi in gioco e avere una seconda occasione». Questa la filosofia della sartoria, valida per le persone che la vivono come per i tessuti che si trasformano in creazioni autentiche e lo spazio che la ospita. Nata per volere di sette donne nel 2012 in un’altra sede come piccola sartoria, si sposta nel 2017 in un grande ex magazzino della fine degli anni Settanta sequestrato al mafioso Antonino Buscemi.

Dopo aver ridato dignità alle pareti e aver trasformato uno stabile anonimo in un luogo accogliente la sartoria si popola. Aumentano i collaboratori, i sarti, gli appassionati e soprattutto le persone che vogliono rimettersi in gioco partendo dalla macchina da cucire, dal taglio di tessuto, da una cucitura. «Ci sono uomini che arrivano dall’Africa e sanno già cucire ma con metodi e strategie diverse: questo diventa uno stimolo, uno spunto differente o anche un modo per approcciarsi e instaurare un dialogo», raccontano. Anche solo un orlo può diventare occasione per conoscersi e includere i nuovi arrivati nel gruppo eterogeneo.

Ci sono migranti, vittime di violenza, persone che hanno commesso piccoli reati o che arrivano da centri di salute mentale. In parallelo all’attività di via Casella la cooperativa ha creato anche un laboratorio di cucito inclusivo all’interno del carcere Pagliarelli di Palermo. «La sartoria riflette le anime che la vivono, è un viavai di tessuti, un’esplosione di colori, idee e culture diverse. Tutte queste diversità amplificano il processo creativo e per questo realizziamo abiti, accessori e se capita realizziamo anche piccole lavorazioni di tappezzeria. Come un’officina tessile. Siamo un patchwork, per farlo bene però serve gusto estetico».

L’energia e la passione che si respira all’interno della sartoria hanno avvicinato anche creativi e designers della moda. Tra questi Agnes Kolignan (con esperienze per Alexander McQueen, John Galliano, Givenchy, Gianfranco Ferré e Roberto Cavalli). Dopo aver scoperto la sartoria e aver trascorso un periodo a Palermo è nata una collaborazione per una collezione, ed è stato solo l’inizio. «Non c’è un fashion designer che ci affianca stabilmente ma la creatività della sartoria e le capacità sartoriali di chi la anima generano sempre qualcosa di speciale».

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