Francesco Maglia: l'arte del saper fare ombrelli

Una tradizione di famiglia, i segreti del mestiere made in Milan

30 giugno 2022

Non c’è nessuna insegna: in via Ripamonti 194, a Milano, c’è una discesa di cemento che sembra l’ingresso di un garage. Invece è una vecchia tipografia che oggi ospita il segreto di sei generazioni di famiglia, l’unica che tramanda un artigianato speciale e quasi dimenticato. Quello degli ombrellai, quello di Francesco Maglia.

Non è solo il nome della fabbrica che arriva in corso Genova nel 1876 dopo un passato di storia sul lago Maggiore, è anche il nome di chi accoglie chiunque entri nel laboratorio – che ha trovato casa lontano dal cuore della città – per un ombrello realizzato su misura. Per tradizione, un figlio è sempre stato chiamato Francesco.

Una falegnameria, una sartoria, una bottega di eccellenze e di dettagli: è questa l’atmosfera che si respira all’interno degli spazi di Francesco Maglia.

Tra i cassetti con tutti gli elementi che compongono l’ombrello perfetto (che richiede dai 70 ai 110 passaggi), alle stecche che devono rispondere all’elasticità del polso, alle oltre 25 tipologie di legno che possono essere scelte per l’impugnatura. «Dipendiamo dalla natura e la rispettiamo», racconta Francesco Maglia. «I nostri ombrelli sono completamente sostenibili. Continuiamo a usare il saper fare della tradizione della mia famiglia e l’arte degli ombrellai ma cerchiamo soluzioni che possano rispondere ai criteri di oggi». Per questo gli ombrelli possono durare oltre 50 anni in caso di rottura: «li ripariamo», sottolinea Maglia.

Dal castagno alla ginestra, il nocciolo e il frassino fino alle corna di cervo o alle radici indonesiane che vengono utilizzate per le mazze da polo. «Il legno proviene da alberi che vengono estirpati e non tagliati», rimarca Maglia. «Chi si occupa della selezione del legno deve anche conoscere le fasi della luna per sapere quando è il momento giusto per il prelievo, ogni bastone è un albero. È unico».

Non esiste limite alla creatività per la realizzazione degli ombrelli, dopo aver preso le misure della persona, scelto l’impugnatura e il modello si passa al disegno su carta modello e il tessuto. «Ci sono circa 350 tessuti pronti al taglio, poi si passa ai cataloghi con le collezioni e l’archivio del passato che conta circa 3mila varianti». Regimental, rigati e gessati, classici scozzesi, pois e pied-de-poule, tinta unita. In alternativa, si personalizza, anche con il proprio nome.

Teodorica e altre tre signore si occupano delle cuciture a mano, dell’orditura e dei ricami. Prima dello stiro, ogni millimetro di stoffa viene controllato attraverso la specula. Poi si passa al controllo della scorrevolezza delle parti meccaniche, il dettaglio del puntale, l’ovaletto con l’indirizzo, il numero di telefono, la firma del futuro proprietario.

«Qui c’è un disordine ordinato», dice Francesco Maglia. È proprio questo che affascina principi, papi, registi e personaggi provenienti da tutto il mondo e che li conduce proprio dentro a quel seminterrato in via Ripamonti. Non è solo un ombrello, è un’esperienza del fatto a mano che viene apprezzata dalle maison di alta moda e arriva fino in Cina, in Giappone e in Africa, tra i ragazzi di Oxford e nelle case degli italiani che amano il ben fatto.

«Non importa chi è che porta l’ombrello, quello che conta è la persona», confida Maglia, «Abbiamo anche detto di no». Forse è per questo che appesa a una parete del laboratorio, tra le pubblicità vintage, si vede anche l’immagine di un lusciatt: l’ombrellaio ambulante che nell’800 girava nelle città per aggiustare ombrelli e renderli più belli.

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