Il cappello degli Alpini e la sua tradizione nelle valli biellesi

Curiosità e origini del simbolo realizzato nel Cappellificio Cervo da oltre un secolo

12 ottobre 2021

Nella Valle Cervo, precisamente a Sagliano Micca, si trova una fabbrica ultracentenaria che tramanda e produce un cappello, quello degli Alpini, che è simbolo del nostro Paese. Quali sono i motivi che hanno circoscritto la tradizione manifatturiera al territorio biellese, le specifiche sul materiale e il legame con una categoria di peso della boxe sono tutti ingredienti di un racconto che racchiude oltre un secolo di storia italiana.

Il Cappellificio Cervo è ufficialmente nato nel 1897 e dal 1898 diventa produttore ufficiale e unico depositario del cappello dell’Ufficiale Alpino. Il corpo degli Alpini invece è stato costituito nel 1872. «Ci sono racconti verbali, storie che io ho raccolto negli anni che spiegano la creazione e la prototipia di cappelli per alpini prima che il Cappellificio avesse la struttura formale di una fabbrica, quando ancora si trattava di una Cooperativa di mastri cappellai riconosciuti e approvati dal regno», spiega Giorgio Borrione, titolare del Cappellificio Cervo e memoria della sua storia appassionata. «Il legame con il territorio si può rivedere in due aspetti: da un lato la provenienza del co-fondatore del CAI Quintino Sella (biellese) che ispirò il generale Giuseppe Perrucchetti (padre degli Alpini, ndr) dall’altra quella di Alessandro Ferrero della Marmora (nato a Torino e vissuto a Biella) che inventò i Bersaglieri nel 1831 con il chiaro intento di costituire le truppe di montagna: appunto gli Alpini». Uomini legati alla storia del territorio e dei materiali che venivano lavorati artigianalmente. Una relazione così stretta che anche se l’atto di fondazione del Corpo degli Alpini viene firmato a Napoli dal re Vittorio Emanuele, da subito il Cappellificio del biellese già allora riconosciuto come eccellenza, viene scelto come culla dell’importante accessorio pennuto.

Secondo la Costituzione degli alpini ci sono delle precise regole che stabiliscono la forma, le dimensioni, i dettagli e i materiali che devono essere utilizzati per realizzare le uniformi e i cappelli da indossare. Inizialmente, si legge nella raccolta del Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” di Torino: «Il cappello era di feltro nero, di forma tronco-conica, sormontato da una calotta sferica e munito al fondo di un’ala leggermente incurvata sul dinanzi e sul dietro e rialzata alle porte laterali». Dal 1910 invece, con la Circolare 388 del 5 settembre si stabilisce che gli ufficiali e l’artiglieria da montagna «adottino un cappello di feltro grigio-verde simile a quello della truppa». 

Nel 1911 il Cappellificio è già fornitore del regio esercito, quando si inizia a realizzare anche il cappello da truppa servivano decina di migliaia di cappelli l’anno e per questo vennero realizzati anche in altre fabbriche a Monza, Alessandria e in Toscana. «Gli ufficiali però volevano distinguersi dalla truppa», sottolinea Borrione. Questo è il Super Bantam che ancora oggi si realizza al Cappellificio Cervo. Realizzato in pelo di coniglio al cento per cento con una mista tinta in fiocco e caratterizzato dalla colorazione grigio/verde, penna bianca e distinzioni di grado in argento a “v” rovesciato. Nello stabilimento biellese si realizza anche il berretto tipo “Norvegese” per l’uniforme di marcia, realizzato in feltro di lana.

«Bantam è anche una categoria dei pesi leggeri del pugilato», spiega Borrione. Si tratta della categoria inglese da noi tradotta in categoria “gallo”. «Io ho un quadro con una pubblicità negli anni della seconda guerra con Marty Servo (pseudonimo di Mario Severino) campione mondiale nel 1964. Il pugile allora sponsorizzava il cappellificio descrivendo il Bantam come veloce, tenace, resistente, forte e valoroso. Queste sono ancora oggi le caratteristiche del cappello che realizziamo e che probabilmente, si trova anche sulla testa del Generale Francesco Paolo Figliuolo».

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