Il Podcast di ApritiModa: Pelle
La ricerca di Unic, il sogno di Conceria Presot, la Napoli di Omega Guanti
Podcast
4 novembre 2022
Mi sono sempre chiesta perché l’Italia, che è un puntino sulla carta geografica, sia conosciuta e amata ovunque.
Tutto il mondo sa che esistiamo perché siamo il Paese della bellezza, geografica, artistica culturale. Ma siamo anche e soprattutto il Paese che fa le cose più belle e benfatte del mondo.
È il nostro vero potere, il Made in Italy.
Mi sono messa in testa che il nostro saper fare è un patrimonio da scoprire e da conoscere.
Per questo ho inventato ApritiModa. Un viaggio dentro le storie del bello e benfatto italiano
Cinzia Sasso ideatrice e fondatrice di ApritiModa.
La voce dei protagonisti, parte del mosaico delle eccellenze del Paese, è diventata una serie di Podcast. Pelle, Tessitura e telaio, il Distretto biellese, le Sartorie teatrali e Milano: la città dove tutto è iniziato. Cinque racconti per molte altre storie che si intrecciano tra famiglie, ricordi, territorio e amore.
Il Podcast di ApritiModa è stato realizzato con Dr.Podcast Audio Factory Ltz, di seguito un estratto della puntata dedicata alla Pelle.
Vi sarà capitato di avere tra le mani un oggetto o un capo di abbigliamento o un accessorio e di chiedervi: da dove viene? E chi l’avrà realizzato?
Quasi sicuramente questo pensiero vi sarà scaturito toccando o guardando qualcosa di particolarmente prezioso, antico o così unico da farvi intuire che al suo interno si nascondesse una storia. Stiamo parlando della pelle. Non si tratta di un semplice tessuto ma di uno degli inconfondibili marchi di fabbrica del Made in Italy.
In Italia l’industria che ruota attorno alla concia delle pelli ha raggiunto negli anni livelli di qualità, innovazione tecnologia e attenzione al dettaglio che sono ineguagliati nel mondo. Parliamo di un’industria che copre il 65% della produzione europea e il 24% della produzione mondiale con 1100 aziende e 18.000 addetti, senza considerare l’indotto.
Eppure, attorno al settore conciario ci sono ancora moltissimi pregiudizi, racconta Fulvia Bacchi, direttore generale di Unic, l’associazione confederale che rappresenta l’industria conciaria italiana, nata nel primo dopoguerra italiano:
«La conceria è accusata di tutto ma vorrei smentire la prima di queste credenze. Per fare la pelle la conceria recupera un sottoprodotto dell’industria della macellazione e questa è un’attività che fa parte della storia dell’uomo. Noi diciamo sempre che l’imprenditore conciario è stato il primo imprenditore della storia perché recuperando le pelli degli animali ha saputo creare un bene che serviva all’uomo, all’umanità intera quindi si parla tanto di circolarità è la nostra industria ne è un esempio storico e consolidato», spiega Fulvia Bacchi.
Se non ci fosse un’industria conciaria, infatti le pelli sarebbero bruciate o sepolte con danni per l’intero ecosistema.
Lasciamo il centro di Milano per immergerci nella prossima storia, che nasce e si sviluppa in un piccolo paese del Friuli Venezia-Giulia, Pòrcia, al di fuori dei grandi distretti conciari. Eugenia Presot, insieme ad Achille e Federico rappresenta la quarta generazione a capo dell’omonima Conceria Presot, fondata da suo zio Pietro nel 1932.
«Nel 1954 forniamo il cuoio per gli scarponi degli alpinisti e dei portatori d’alta quota della spedizione italiana sul K2. Il gruppo è guidato da Ardito Desio, geologo di Palmanova, insieme ad altri tra cui Mario Fantin, autore delle immagini che documentano l’impresa e dall’alpinista Cirillo Floreanini di Tolmezzo. Quando racconto di questa cosa mi commuovo ogni volta perché è stata veramente una bellissima parentesi della nostra attività», racconta Eugenia Presot.
Dal Friuli Venezia-Giulia scendiamo nella bellissima Napoli. Ci addentriamo nelle sue strade, tra i vicoli, il vociare dei ragazzi, i clacson, fino arrivare a uno dei quartieri più suggestivi. «Mi chiamo Alberto Squillace e sono quinta generazione di una delle più antiche aziende nel settore guanti a Napoli, precisamente nel Rione Sanità, il cuore pulsante della città».
«Io penso che a Napoli e nel Sud Italia abbiamo inventato quello che ad oggi chiamano lo smart working. Ed è molto interessante perché tutte le macchine antiche degli anni Venti, agli inizi del Novecento le Singer e le Rimondi erano tutte macchine che erano arrivati da oltreoceano, qui, nel Sud Italia e tutt’oggi, se andate a vedere in qualsiasi basso qualsiasi appartamento nei quartieri popolari c’è almeno una macchina da cucire, anche se inutilizzata», racconta.
Artigiani del made in Italy, amati, come dice Alberto Squillace, soprattutto all’estero e che negli anni hanno adattato la loro produzione alle nuove richieste della clientela: «Sì, lo stile è cambiato molto. Come può immaginare. Io sono cresciuto con gli aneddoti, ad esempio, di mio nonno che diceva che negli anni Trenta, negli anni Quaranta la donna non usciva mai senza cappelli, guanti. Quindi all’epoca era più simbolo di eleganza femminile. Oggi è tutto fuorché accessorio invernale. Io vendo prima Napoli e poi il guanto».
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