ApritiModa Podcast: Milan is fashion

I ricami di Pino Grasso, la cultura Curiel e il progetto di Ferrè

Podcast

4 aprile 2023

Mi sono sempre chiesta perché l’Italia, che è un puntino sulla carta geografica, sia conosciuta e amata ovunque.

Tutto il mondo sa che esistiamo perché siamo il Paese della bellezza, geografica, artistica culturale. Ma siamo anche e soprattutto il Paese che fa le cose più belle e benfatte del mondo.

 È il nostro vero potere, il Made in Italy.

Mi sono messa in testa che il nostro saper fare è un patrimonio da scoprire e da conoscere.

Per questo ho inventato ApritiModa. Un viaggio dentro le storie del bello e benfatto italiano.

 

Cinzia Sasso ideatrice e fondatrice di ApritiModa.

La voce dei protagonisti, parte del mosaico delle eccellenze del Paese, è diventata una serie di Podcast. Pelle, Tessitura e telaio, il Distretto biellese, le Sartorie teatrali e Milano: la città dove tutto è iniziato. Cinque racconti per molte altre storie che si intrecciano tra famiglie, ricordi, territorio e amore. 

Il Podcast di ApritiModa è stato realizzato con Dr.Podcast Audio Factory Ltz, di seguito un estratto della puntata dedicata a Milano, capitale della moda del nostro Paese.

Quante sono le anime di Milano? 

Infinite. L’anima cosmopolita, quella europea, l’anima più silenziosa e operosa, l’anima del fare e del pensare. L’anima del creare. La creatività nelle sue varie espressioni regala a questa città una luce sfavillante, alimentata da cura, ricerca, attenzione al dettaglio, rottura degli schemi, provocazione e intuizioni geniali. 

La creatività è il motore di Milano. Ed è la linfa vitale di un’industria dove il made in Italy trova la sua massima espressione, l’alta moda è Milano, è moda. 

Il nostro viaggio parte da un laboratorio in via Simone d’Orsenigo, in zona Porta Romana.  Al suo interno si muovono decine di maestranze, una «tranquilla frenesia». Appesi alle pareti ci sono decine e decine di foto di sfilate, articoli di giornale e foto del fondatore di questa bellissima realtà milanese. 

Siamo all’interno della Pino Grasso ricami. Pino, il fondatore, milanese doc classe 1931 ha aperto questo laboratorio nel 1967. L’antica tradizione del ricamo è stata una vera e propria vocazione, mantenuta fino alla sua scomparsa, nel 2020 a 89 anni. 

Pino Grasso è stato un maestro indiscusso del ricamo d’alta moda. Una passione che ha trasmesso alla figlia Raffaella, che oggi guida l’azienda con il supporto del marito:  

«Sono cresciuta nel laboratorio, perché fin da bambina ho frequentato e andavo raramente, ma andavo in ufficio con papà a vedere i materiali e le lavorazioni che lui preparava, perché all'inizio papà faceva tutto da solo e quindi disegnava, preparava i materiali, andava a comprarli, li portava le ricamatrici a casa», racconta Raffaella Grasso. Papà Pino raccontava alla piccola Raffaella un mondo in fermento. «Mio papà lavorava direttamente col signor Valentino, signor Armani, con il signor Ferré, con la signora Versace…»

Oggi il mondo della moda va decisamente più veloce e Raffaella ha l’arduo compito di accontentare tutte le richieste – mai banali –in tempi strettissimi. Insieme a Raffaella e al marito, ci sono altre 18 persone, che Raffaella non chiama mai dipendenti ma collaboratori che fanno parte di una grande famiglia. Questo è stato uno dei grandi insegnamenti di Pino, insieme alla capacità di affrontare le sfide quotidiana. 

Raffaella ci rivela che fa sempre fatica a rispondere quando le viene chiesto quale eredità le abbia lasciato il padre: «Il suo più grande lascito, naturalmente, è stata la passione per questo mestiere. Questo lavoro era la sua vita, oltre alla sua famiglia. E la vivo e la sento tuttora dentro come il motore per mandare avanti questa attività che fa fatica, ma riconosciamo nella passione delle persone che vengono a trovarci la sua stessa passione, quindi è molto importante portarlo avanti».

Entriamo nel cuore della moda milanese, in via Montenapoleone. Qui troviamo una stilista che ha contribuito in maniera determinante a costruire la credibilità di Milano come centro della moda nazionale e internazionale. Un’altra donna, un’altra Raffaella. 

Stiamo parlando di Raffaella Curiel, stilista simbolo dell’haute couture Made in Italy. La storia del marchio Curiel è una storia tutta al femminile che attraversa 4 generazioni.

La prozia di Raffaella, Ortensia, era proprietaria di un atelier a Trieste nei primi del ’900. La nipote Gigliola, ne segue le orme e nel 1945, apre la prima sartoria a Milano, conquistando in breve tempo l’alto borghesia meneghina con i suoi abiti sofisticati ed elegantissimi.  Negli anni del boom economico, gli abiti Curiel entrano in scena nelle occasioni mondane milanesi, come la prima della Scala, e i disegni di Gigliola hanno talmente tanto successo da portarla a realizzare collezioni esclusive per i grandi centri commerciali del lusso come Harrods a Londra e Bergdorf Goodman oltreoceano. 

Celebre il suo Curiellino –  un tailleur componibile, che conquista l’alta borghesia milanese e oggi è anche una voce della Treccani. Negli anni Sessanta Gigliola viene affiancata dalla figlia Raffaella, che poco dopo prende le redini della maison, introducendo le collezioni prêt-à-porter e la linea couture. La sua capacità di mettere insieme arte, cultura e moda le valgono il soprannome di intellettuale della moda e il perché ce lo racconta lei stessa: «Ce l'ho nel DNA e non me ne vanto perché, avendo avuto una mamma che aveva un grande salotto intellettuali, sono cresciuta in mezzo a queste meravigliose persone: musicisti, giornalisti, scrittori, per cui ce l'ho proprio nel sangue», racconta Raffaella Curiel.


Il marchio Curiel è sinonimo di eleganza e ricercatezza. In anni più recenti le collezioni Curiel sono disegnate da Gigliola, figlia di Raffaella, che ha seguito la passione che ha accumunato le 4 generazioni femminili di Curiel. Raffaella, invece, nel 2022 comincia una nuova avventura. Il suo piccolo atelier è a pochi metri dalla sede Curiel di Montenapoleone. Qui ci sono abiti e accessori elegantissimi. Ma qual è stato l’abito più difficile da confezionare? «Forse l'abito da sposa di mia figlia. Perché dopo aver fatto centinaia di abiti da sposa ero disperata, non sapevo come farlo. Lei si è sposata in un borgo grigio del Lago Maggiore, in questa pietra grigia, eccetera eccetera. Brutta chiesa. E io ho detto che bisognava fare qualcosa di straordinario. E allora l'ho vestita come la Lucia del Manzoni del Promessi Sposi, proprio con la tiara, il grembiulino, un amore. E’ arrivata con una barca dal lago è stato molto bello».

Raffaella ammette di aver assistito a un grande cambiamento nel mondo della moda, soprattutto negli ultimi anni:  «La moda è molto cambiata per colpa degli stilisti, perché gli stilisti non hanno più pensato alle donne, hanno pensato al commercio, a vendere, ai numeri, per cui le donne non usano più la moda, sono usate dalla moda e si vedono grandi orrori perché la donna oggi non si conosce, non si riconosce più e non ha rispetto di se stessa». 

Lasciando gli sfavillii di Montenapoleone, arriviamo nel cuore di via Tortona, pronti a entrare nel Centro di ricerca Gianfranco Ferrè. Uno spazio di 600 mq ideati da Franco Raggi, compagno di università e amico di Ferrè, dove ogni oggetto d’arredo ricalca i segni dello stile Ferrè. 

Un percorso che permette di immergersi totalmente nell’opera e nella personalità del grande stilista che a Milano è cresciuto, si è laureato in Architettura e qui ha lavorato e insegnato fino alla sua scomparsa, nel 2007 a soli 63 anni. Il centro di ricerca è uno scrigno che contiene un tesoro dal valore inestimabile: non solo le imperdibili creazioni del maestro Gianfranco Ferrè ma un imponente archivio.

A raccontarci il significato del luogo in cui ci troviamo la sua deputy director, Federica Vacca: 

«L’imperdibile di questo archivio è proprio tutto il processo progettuale che sta dietro una collezione. Cioè la possibilità di avere accesso a tutto il percorso che è stato fatto sin dalla fase delI’ispirazione di ricerca dei materiali, delle forme, dei volumi, che viene poi tradotta in una serie di schizzi preparatori, bozzetti, disegni tecnici, fino poi arrivare ai disegni di uscita sfilata, sino poi arrivare agli oggetti veri e propri, quindi capi che sono appunto conservati all'interno di questo archivio, i gioielli e anche tutto quello che poi viene dopo».


Obiettivo del Centro di ricerca è riuscire a rendere l’archivio Ferrè sempre più fruibile e disponibile per chi voglia fare ricerca, anche attraverso le nuove tecnologie, come la realtà aumentata, la realtà virtuale, gli NFT: «la Fondazione ha sempre promosso la relazione con le scuole di ogni ordine e grado perché fa parte dell'heritage lasciata da Ferré, perché lui stesso è sempre si è sempre generosamente speso nella formazione dei nuovi designer. Noi in archivio abbiamo una serie di lezioni che proprio testimoniano questa sua voglia di condividere il suo sapere, il suo modo di progettare per i giovani», continua la Professoressa Vacca…

Per ascoltarlo integralmente:

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