Da Biella a Los Angeles: il viaggio di FILA
Quando lo sport diventa indossabile
16 ottobre 2024
FILA. Le quattro lettere a caratteri cubitali che riconosciamo subito perché le abbiamo viste sui podi di grandi vittorie, come quella della Coppa del Mondo di Alberto Tomba nel 1995 o sporcate di terra rossa sul campo da tennis con Bjorn Borg o Adriano Panatta. Quelle lettere, trasformate poi negli anni da Sergio Privitera in un logo, l’F-Box, sono in realtà il cognome di tre fratelli.
Forse non si immaginavano Giovanni (falegname che si avvicina all’industria tessile costruendo telai a mano), Ettore e Severo che le loro creazioni diventassero (grazie all’intuizione di Enrico Frachey) l’abbigliamento ufficiale delle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984.
Dai piedi delle alpi biellesi, dove la tradizione industriale è strettamente legata al tessile e alla lavorazione della lana, fino alla Corea, perché l’attuale proprietario, un tempo incaricato di sviluppare FILA per questo mercato, si innamora dell’azienda fino ad acquisirla nel 2007.


Da qui una nuova era per FILA, oltre le mode ma destinata a durare nel tempo, stringe collaborazioni con designer emergenti come Jason Wu, Gosha Rubchinskiy fino all’altra moda italiana con Fendi.
Il cuore di FILA resta però sempre Biella, così come la memoria storica di oltre cent’anni di attività. A due passi dal Duomo dove passeggiavano i fratelli del maglificio. Qui, tutta la storia dell’azienda, le scarpe e le tute da sci indossate dai campioni, gli schizzi preparatori e i bozzetti, le pubblicità, gli oltre 40 mila pezzi della collezione.
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